Il Web è pro-choice: social e tech con i diritti delle donne

Pubblicato il: 14 Luglio 2022Categorie: Digital, News, Social Media0 CommentiTempo di lettura: 7,9 min

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Il mondo del digitale è ormai intrinseco alle nostre dinamiche quotidiane, tanto che, quando notizie di stampo politico influenzano o vengono influenzate dal web stesso, questo fenomeno non rappresenta più una sorpresa.

L’ennesimo esempio di come una notizia di estrema importanza sociale abbia avuto un forte riscontro nel digitale è rappresentato dalla recente risoluzione della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America di revocare il diritto all’aborto su tutto il territorio americano, abrogando la sentenza Roe contro Wade, in vigore dal 1973, lo scorso 24 giugno 2022. Questa decisione, presa a seguito del caso Dobbs contro l’Organizzazione per la Salute delle Donne di Jackson, implica che da ora in avanti ogni stato americano avrà il potere di decidere come disciplinare autonomamente le pratiche legate all’aborto, permettendo ad alcuni di questi di vietarlo completamente.

Questo fatto ha portato alla luce innumerevoli manifestazioni non solo negli Stati Uniti, ma anche nel resto del mondo: le strade si sono affollate di manifestanti pronti a farsi ascoltare nelle piazze delle città. Di fronte ai palazzi governativi si sono scontrati gli attivisti “pro-choice”, ovvero le persone che si schierano a difesa della libertà di scelta della donna riguardante l’aborto, e i manifestanti “pro-life”, ovvero favorevoli all’abolizione completa di questa pratica.

Come in ogni decisione dalle grosse ripercussioni sociali, anche esponenti politici di rilievo si sono schierati dalla parte che ritengono più vicina al proprio pensiero e un esempio ne sono proprio il Presidente in carica degli USA Joe Biden, il quale la ritiene una scelta “devastante e dolorosa” e l’ex Presidente Donald Trump, che la definisce come “volontà di Dio”.

Web pro-choice: le aziende digital che si sono schierate contro Roe v. Wade

La scelta di prendere posizione si è manifestata anche tra le aziende, senza escludere quelle operanti nel settore del web e del digital. Tra quelle che si sono schierate a favore della libertà di scelta troviamo il colosso Google, il quale ha annunciato che i dati sulla posizione degli utenti saranno automaticamente cancellati quando questi si recheranno in una clinica specializzata, in rifugi contro la violenza domestica e tutti quei luoghi sensibili che possono fornire informazioni al governo USA per controllare che la legge non venga infranta.

L’ingegnere americana Jen Fitzpatrick, vicepresidente senior di Google Core System & Experience, non è però l’unica ad aver voluto dare il proprio contributo alla causa per aiutare le donne in difficoltà.

Si affiancano alle decisioni prese da Google anche altre aziende legate al mondo della tecnologia come Amazon, Apple, Microsoft, Meta e Tesla, i quali hanno dichiarato pubblicamente che le loro aziende copriranno i costi di trasferimento oltre i 75 km per le impiegate residenti in Stati americani in cui la procedura abortiva è ora ufficialmente illegale.

Inoltre, c’è da considerare che con l’eliminazione del diritto all’aborto non verrà incentivato il proseguimento della gravidanza, ma bensì il ricorso a metodi abortivi illegali e rischiosi per la salute della donna; anche in questo caso il Web ha un ruolo specifico, poiché è diventato un vero e proprio mercato di pillole abortive.

È per questo motivo che i social di Meta, ad esempio, stanno provvedendo all’eliminazione di tutti quei post in cui vengono offerte pillole e prescrizioni. Per tenere sotto controllo le piattaforme, il portavoce di Meta Andy Stone ha quindi vietato la vendita di medicinali, ma ha pubblicamente accettato la condivisione di contenuti a scopo informativo su come accedervi.

Protezione dei dati: il ruolo delle app di tracciamento del ciclo mestruale

Come con altre app, anche quelle dedicate al monitoraggio del ciclo mestruale raccolgono, conservano e talvolta condividono dati dei loro utenti. Queste applicazioni sono popolari principalmente perché hanno contribuito a rendere la vita delle donne più facile dalla pianificazione familiare al rilevamento dei problemi di salute. In uno Stato in cui abortire è reato, i pubblici ministeri potrebbero quindi citare in giudizio proprio i dati raccolti dai “period tracker” in supporto all’accusa.

Molte donne hanno iniziato a disinstallare queste app già il mese scorso, quando è trapelato un progetto della Corte Suprema di ribaltare Roe v. Wade e la tendenza si è intensificata quando la sentenza si è chiusa con l’abolizione del diritto all’aborto.

Anche in questo caso, non sono mancate le prese di posizione. L’app berlinese Clue, ad esempio, ha dichiarato di essere “impegnata a proteggere” i dati sanitari privati degli utenti e di operare in base alle severe leggi europee. Inoltre non tiene traccia della posizione precisa degli utenti e afferma di non memorizzare dati personali sensibili senza l’esplicita autorizzazione dell’utente.

Flo invece, un’altra app popolare di monitoraggio del ciclo mestruale, è stata presa di mira per aver già condiviso i dati dei suoi utenti. Di tutta risposta, la società ha affermato che utilizza dati “per attività di ricerca” e dati “non identificati o aggregati, che non possono essere associati a utenti specifici”. Ma un articolo investigativo del Wall Street Journal ha scoperto che l’app informava Facebook quando un’utente aveva le mestruazioni o se intendeva rimanere incinta. Nel 2021 la Federal Trade Commission (FTC) ha raggiunto un accordo con l’azienda, in base al quale quest’ultima deve sottoporsi a una revisione indipendente della sua politica sulla privacy e ottenere le autorizzazioni degli utenti prima di condividere informazioni sulla salute personale. 

Venerdì 8 luglio 2022, la stessa app ha annunciato che lancerà una “modalità anonima” per aiutare a proteggere i dati degli utenti in qualsiasi circostanza.  

Le app di monitoraggio del ciclo possono essere estremamente utili per molte donne, ha affermato Jonathan Lord, direttore medico britannico per MSI Reproductive Choices, “ma tutti i dati possono essere usati contro di te”. Secondo Lord, questo pericolo rimarrà “fino a quando non tratteremo l’aborto come tutte le altre cure sanitarie – regolamentate, ma non criminalizzate”. 

Il supporto pro-choice diventa un trend su TikTok

Per quanto riguarda i social, TikTok è diventato teatro di diversi trend pro-choice.

Gli utenti canadesi e quelli che vivono negli stati degli USA in cui l’aborto è ancora protetto, ad esempio, hanno iniziato a pubblicare messaggi in codice tramite i quali offrono le loro case come luogo sicuro dove soggiornare per le donne residenti in stati in cui l’aborto è divenuto illegale. 

Gli utenti usano spesso hashtag come #ifwegodownthenwegodowntogether e mettono a disposizione il loro supporto per un’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG), con il pretesto di altre attività come “campeggio”, “degustazione vini” o persino “vedere le mie mucche”. 

Alcuni offrono un pick-up dal confine, gite in clinica o l’aiuto di amici della zona. 

Qui sotto una signora, insieme alla figlia, scrive: – Alle mie amiche americane… vivo a Philadelphia dove i “cheesesteaks” sono ancora legali. Se hai bisogno di un “cheesesteak” puoi mangiarlo qui. Se cadiamo, allora cadiamo insieme.

 

@rachel_linds #roevwade #phillytiktok #philly #cheesesteak #wegotyou #ifwegodownthenwegodowntogether ♬ What would you do – Bitch

Un’altra signora si offre di “insegnare a lavorare a maglia” e offre alloggio a 42 miglia dal confine del Montana, con l’aggiunta di cure, cibo e abbracci se necessario durante il percorso.

@jessem70 #ifwegodownthenwegodowntogether ♬ Paris – The Chainsmokers

Attualmente – secondo la mappa elaborata dal Center for Reproductive Rights – sono 21 gli Stati e 3 i territori in cui l’aborto è interamente vietato dalla legge e punibile penalmente, 9 gli Stati in cui l’accesso alle cure è legale e garantito, infine 12 gli Stati e il Distretto di Columbia dove la procedura è protetta dalla legge statale, ma con limitazioni e accesso alle cure.

Al centro del mirino attualmente spiccano gli Stati Uniti, ma è bene ricordare che in tutto il mondo la procedura di IVG è illegale in 6 paesi su 10.

Ad oggi ci permettiamo quindi di affermare che la decisione presa dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America è stata un colpo alla libertà individuale e al diritto di scelta, un enorme passo indietro in un passato obsoleto che pensavamo tutti di aver superato.

 

Caterina Tognon

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